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(DESI) intervista al Gen. Piero Laporta, pubblica il libro “Raffiche di Bugie a Via Fani”?

Perché ha scritto “Raffiche di Bugie a Via Fani”?

in realtà non volevo scriverlo. Nel corso di colloqui con amici giornalisti, ogni volta che sollevavo dubbi, mi incitavano a scrivere. Esitavo, perché sono in realtà privo di esperienza sul campo, di peculiari conoscenze investigative. Poi, diciamo così, per fortuna ho avuto un tumore e fui costretto, per andare al policlinico Gemelli, a passare assiduamente davanti al condominio dove abitava Aldo Moro. Giorno dopo giorno, mi resi conto che lo Stato italiano ci ha mentito incessantemente.

Che cosa le ha dato questa convinzione, passando da lì?

Aldo Moro aveva tre itinerari per andare in centro: per via Mario Fani, per via della Camilluccia, per via Trionfale. I BR seppero un mese prima che il convoglio sarebbe passato in via Mario Fani. C’è un Giuda, un traditore dello Stato, che poté garantire questo appuntamento con la morte. Il fatto singolare è che gli inquirenti hanno del tutto trascurato questa certezza, gli inquirenti e le parti civili. Quando ho cominciato a scavare, è affiorato il letame, nei gangli dello Stato. 

Ci può fare qualche esempio?

Nel libro smonto il parallelo, suggerito alle redazioni della stampa e della tv, fra la strage di via Mario Fani e il rapimento di Hans Martin Schleyer, il 5 settembre 1977 a Colonia in Germania. Quest’ultimo fu una messinscena dei servizi sovietici per intossicare l’opinione pubblica italiana con almeno cinque disinformazioni: 1) i terroristi tedeschi hanno potuto rapire e uccidere Hanns-Martin Schleyer, altrettanto hanno quindi potuto le BR con Aldo Moro; 2) i terroristi tedeschi hanno operato da soli, altrettanto hanno ovviamente fatto le BR; 3) Schleyer era vulnerabile perché non aveva l’auto blindata; Moro fu quindi altrettanto vulnerabile non avendo l’auto blindata (che disdetta, fu negata dal Viminale); 4) è pertanto credibile il Morucci Valerio secondo il quale Aldo Moro fu scelto come vittima e non Giulio Andreotti, perché solo questi aveva un’auto blindata; 5) “Le Br sono quindi solo una storia italiana”. Come dubitarne?

Mi pare un po’ poco per sostenere un complotto.

Ah sì, perché hanno negato alle commissioni parlamentari e alle carte processuali le prove che Aldo Moro fu torturato? Lo Stato italiano – non la CIA o il KGB – lo Stato italiano ha nascosto e falsificato i referti autoptici che certificano la rottura di quattro costole in tempi differenti ad Aldo Moro, oltre a un vasto edema cerebrale.

Uno Stato pasticcione e sciatto come il nostro può commettere questi errori…

Non è un errore. Nel libro dimostro infatti il dolo dello Stato, ma anche degli ufficiali di polizia giudiziaria presenti all’autopsia.

Ma lei sostiene che addirittura Aldo Moro non era in via Mario Fani al Momento della strage. Lo avevano prelevato prima? Dove?

No, io non sostengo proprio nulla: ho fornito le prove nel libro che Aldo Moro non poteva esserci in via Mario Fani mentre un manipolo di cialtroni sparacchiavano fra i propri piedi e fino al secondo piano del caseggiato di fronte. 

È piuttosto la magistratura inquirente del tempo che non fornisce la prova della presenza di Aldo Moro, asseverando l’autoaccusa dei BR, gli avvocati dei quali avrebbero potuto chiedere la derubricazione quanto meno del reato di rapimento. No, la parola dei BR è stata presa per oro colato anche dalle parti civili.

Ma ci sono i testimoni oculari…

La letteratura giudiziaria straripa di esempi di inaffidabilità dei testimoni oculari. Lo Stato non ha fornito alcuna prova della reale presenza di Aldo Moro sulla Fiat 132 sulla quale i BR lo avrebbero caricato e portato via. D’altronde io ho fatto un lavoro di decrittazione scientifica di ben sei anagrammi di Aldo Moro, preceduta da un’interpretazione filologica dei messaggi duali che Aldo Moro riuscì a far passare. Pensi che illustri studiosi, come Miguel Gotor, affermano da mezzo secolo la necessità di “scavare” nelle lettere di Aldo Moro per comprenderne i messaggi nascosti. Nessuno ha mai scavato, io invece l’ho fatto, con risultati clamorosi. Se hanno capacità di smontare il mio libro, si facciano avanti. 

Perché lo Stato italiano avrebbe interesse a mentire, secondo lei?

Non solo lo Stato italiano ha mentito. La stampa italiana è infettata fin da quei giorni. Il 4 Maggio 1978, cinque giorni prima dell’uccisione di Aldo Moro, mentre le trattative fervevano (davvero?), dal Corsera chiamarono Ileana Lattanzi, vedova di Oreste Leonardi, per avvertirla che avrebbero pubblicato un articolo di Antonio Padellaro, titolato: «Una vedova di via Fani: se li liberate mi do fuoco». La signora Lattanzi smentì d’aver mai dichiarato alcunché di simile; chiamò Maria Ricci, vedova di Domenico Ricci, ottenendo un’altra smentita, come pure dalla Signora Moro. Non c’erano altre vedove. I tre agenti sull’Alfetta erano scapoli. D’altronde, nessuno dei familiari dei cinque agenti rilasciò dichiarazioni di quel tenore. Andreotti non di meno dichiarò: «Liberare dei detenuti, seppur non responsabili di omicidi sarebbe un affronto al dolore delle famiglie che piangono le tragiche conseguenze dell’operato degli eversori.» Due anni dopo fece l’opposto per un Ciro Cirillo. Sulla stessa linea fu Sandro Pertini, presidente della Camera, di lì a due mesi eletto al Quirinale, dopo il complotto contro Giovanni Leone. Anche Pertini perse ogni intransigenza col Cirillo, per il rapimento di una mezza figura della Democrazia Cristiana partenopea.

Antonio Padellaro il giorno dopo firmò sul Corriere col titolo maramaldo: «Una vedova di via Fani: se li liberate mi do fuoco».

Perché dovremmo leggere il suo libro?

Il libro è composto da tre parti. La Parte Prima prova documentalmente le innumerevoli e gravissime falsità dello Stato italiano. È il corpo principale del libro. La Parte Seconda, non per caso intitolata “Parla Aldo Moro”, espone gli anagrammi e lo studio filologico sulle lettere del Presidente. Infine Parte Terza, sulla base delle bugie dello Stato, provate documentalmente, e dei testi di Aldo Moro, opera una ragionevole ipotesi su quanto è davvero accaduto a via Mario Fani. Non esito a dire che non vi sono altri lavori altrettanto seri e documentati. Paolo Mieli ha riconosciuto che il mio libro e “molto documentato”. 

Lei si rende conto che sovverte quanto è stato sinora dato per scontato?

È ben di più. Io ho giurato fedeltà “alla Repubblica italiana e al suo Capo”. Ho giurato di “osservare fedelmente le leggi dello Stato al solo scopo del bene della Patria”. Occorre quindi capire se la successione al Quirinale, dopo aver sbarrato la strada a Francesco Martino col rapimento del figlio Antonio il 4 aprile 1977, dopo il complotto contro Giovanni Leone, dopo l’assassinio del presidente in pectore, Aldo Moro, occorre capire se la successione al Quirinale sia legittima oppure viziata dall’influenza di un club al quale non sono stati ammessi quanti con via Fani non ebbero nulla a che fare; per esempio, Silvio Berlusconi e Mario Draghi. Per rispondere a questa domanda bisogna cercare davvero la verità e non si può attendere che muoiano tutti i medium. Io ho fatto un lavoro di cui si può tacere, non di meno resterà il convitato di pietra di tutte le prossime commemorazioni, sinora ipocrite e farlocche, di via Mario Fani.

Updated: 11 ottobre 2023 — 3:40
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